Pier Antonio Viti Da Urbino
- wrote a Commentary to the Boiardo Poem and
painted (or had ?) a Boiardo Tarocchi
These historical informations are summarized from R. Renier, Tarocchi di Matteo Maria Boiardo, in Studi su M.M.Boiardo, Bologna, Zanichelli 1894, pp.229-259 and from Tarocchi (a cura di Simona Foà) Roma 1993.
Pier Antonio Viti da Urbino, brother of the more famous painter Timoteo Viti, one of the masters of Raffaello, was born around 1470 from Bartolomeo and Calliope Alberti; he had another brother, Pompilio. His wife was Girolama di Andrea di Lodovico Staccoli, from a noble family of Urbino; after her husband’s premature dead she went to the monastery of S. Chiara. Timoteo Viti married in 1501 Girolama di Guido Spaccioli, sometimes confused with the widow of his brother.
Pier Antonio was a doctor (medic) and substained with honour the office of gonfaloniere (literally means a Herald; in medieval italian Communi, the Gonfaloniere was one of the main dignitaries of State, the chief of civil or justice magistrate order) in 1492 and 1498.
He died young in his native town the 26 of november 1500 [as in Pungileoni, Elogio storico di Timoteo Viti, Urbino, 1835, pp. 3-4].
Otherwise, he was known as a fun loving person. Describing the fool of tarocchi he said: "et da ciò che bono principio sia per me dato, de quello che è a me, per quello che se ha dicto, simillimo, incomenzarò" (I will begin from the one figure more similar to me).
And also, excusing himself for the large space dedicated to the fool, he said that it was because of that figure was his relative: "per essermi de sangue assai congiunta".
Father Vernaccia, whose biographical notes were at Renier times in ms. Oliveriano 1145, said that one of his descendants, Gio. Maria Antonio Viti had a manuscript of Pierantonio Viti’s “capitolo in quarta rima (sic), in cui colla figura del giuoco delle carte rappresenta quattro passioni dell' anima: cioè l' amore, la speranza, la gelosia, il timore" (a poem in rhymes in which four soul’s passions are represented through the playing card’s tarocchi figures: Love, Hope, Jealousy and Fear. So in Pungileoni, Op. cit., p. 3).
The information is wrong, for the author of the “codicetto antaldiano” [the old march. Antaldo degli Antaldi inheredited the goods, and also the manuscripts of Viti’s familiy, when it was extinguished) was Boiardo, not Viti.
Even if in the poem is not mentioned the name of the author, Viti never said he was the writer of the work, and in two places of it (pp. 315 and 333 of Le poesie volgari e latine di Matteo Maria Boiardo riscontrate sui codici e su le prime stampe da Angelo Solerti, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1894) he spoke of the author of the Capitolo in third person.
Viti simply explained the Scandiano’s count poem in his Illustrazione dedicated to a lady of Urbino's’court, maybe Elisabetta d' Urbino, the Duchess, or Emilia Pia her intimate confident and friend or another anonimous Madonna.
The meaning of his work was to use it for a verbal game with tarocchi.
“E da questo dar di carte che tocar deve a chi per sorte ha la migliore, nascie il primo piacere: perciò che ognuno lege li versi che nelle carte sue sono e mostranli a li compagni. Et in ciò si vedono a le volte a donne et omini venire terzetti che sono grandemente al proposito loro, e di gran riso de chi gli ascoltano” (Tarocchi (a cura di Simona Foà) Roma 1993, p.60).
The first pleasure came from the distribution of the cards, made by the one who has the better: every one read the verses in his cards and show’em to the companions. And sometimes the tercets are so appropriate that the friends laugh heartily.
(composed and translated by Raimondo Luberti)
Capitoli Del Giuoco Dei Tarocchi
Di Matteo Maria Boiardo
Con La Illustrazione
Di Pier Antonio Viti Da Urbino
Sono tucte le carte per numero octanta; la prima contiene uno sonetto che insegna brevemente la qualità de tutte loro, e l’ultima similmente con un altro sonetto manifesta a li lectori l’animo del compositore essere stato de ritrovare questo gioco, ad ciò che con esso el tempo, che velocemente fuge, cum qualche solazo se trapassi, da chi ociosamente vivesse.
L’altre veramente tucte sono in due parte divise: una contene vintuno Trionfi e 'l macto; l’altra contiene quaranta carte de quatro giochi, e de esse ancora sedeci figure in sedeci carte depinte: et in questo con el commune gioco de carte esso conviene. Li giochi son quattro: uno è Amore, l’altro Speranza, il terzo Gelosia, el quarto Timore. Et in ciascuno de questi giochi sono quatordeci carte, tra le quale quatro son figure, che ce è signate come le commune sono. Et ad ciò che niuna cosa trappassi voglio ancora scrivere el sonetto che ne la prima carta retrovandose scripto, manifestamente dichiara l’ordine de tucto questo gioco, el quale cusì incomenza:
Quatro passion de l’anima signora
Hanno quaranta carte in questo gioco;
A la più degna la minor dà loco,
E il lor significato le colora.
Quatro figure ha ogni color ancora,
Che a i debiti soi officii tucte loco,
Con vinti et un Trionfo, e al più vil loco
È un Folle, poi che ’l folle el mondo adora.
Amor, Speranza, Gelosia, Timore
Son le passion, e un terzetto han le carte,
Per non lassar, chi giocarà, in errore.
El numero ne i verse se comparte:
Uno, duo, tre, fin al grado magiore:
Resta mo a te trovar del gioco l’arte.
Et de Amore incomenzando, sapiate che li dardi sono ne le sue diece carte depinte: un dardo ne la prima, ne la quale incomenza el Capitulo, per tutte le carte d’Amore compito, che in sé tanti terzetti contene quante sono le carte. Ogniuno de li quali incomenza da questo nome Amore, sequendo drieto a questa parola el numero de li dardi: come serìa ne la prima carta dicendo <> ecc.; nel qual verso è posto uno per ciò che un dardo in quella carta se ritrova. E ne la seconda carta, drieto ad Amore è posto do; e cusì successivamente ne le altre. Bene è vero che né doi né tre nè quatro, né li altri numeri sono cusì distintamente nel verso posti drieto ad Amore, come potria, ma in questo modo: <>; e del tre se dicesse: <>; et cusì de gli altri dicendo. Nel qual parlar, subito drieto Amore se ritrova e doi e tre e cusì de li altri: e questo egli dice aver facto perciò che prima ne li quatro giochi soli brevi erano depinti con tre versi, che incominzavano Amor uno, Amor doi, Amor termine, nel gioco de Amore; et ne li altri tre giochi de Speranza, e Gelosia, e de Timore: ad ciò se intendesse qual fusseno le carte d’Amore, e quale de li altri tre; et oltra questo qual fusse la carta de uno, de li doi, e de tre, e de quatro, senza singnare numeri. Ma ora è più chiarezza: lassando questi versi sì come erano nel gioco d’Amore, esso ha depinto dardi cum li terzetti che seguitano d’Amore, incomenzando come è dicto. Et ne la prima carta un dardo, ne la seconda doi, ne la terza tre, e cusì fin a dece se vede; li quali sono come bastoni nel commune gioco incrosati, co ‘l breve del ternario in mezo la carta. El campo de le qual carte è colore morello nel gioco de Amore, che significa Amore, cioè colore violaceo; e nel gioco de la Speranza el verde, che significa speranza; e cusì ne li altri doi giochi.
Questo de le carte; de le figure veramente de Amore c’è il fante, il cavello, la regina e lo re. El Fante è il Ciclope che fu veramente inamorato di Galatea, et è dipinto in forma de rustico gigante, cum un lolo ochio in fronte, armato; ma per bene assimigliarlo io el vesteria di sola pelle de pecora, con un dardo in mano e con una zampogna a si piedi et alcune pecorelle che pascessero l’erbe, sì come li poeti lo descriveno; e faria lo colore de la pelle morello per significare lo Amore. E lo terzetto li è sopra el capo scritto, lo quale ha in sé il nome de la figura, come hanno tucti quelli che sopra le figure e trionfi sono: di quali diremo. El Cavallo de Amore è un giovene armato a cavallo, cum un dardo in mano, vestito de sopraveste e de arme morelle, cum tre corone d’oro nel scudo, el quale è Paris de Troia; con el terzetto suo sopra el capo. La Regina d’Amore è Venere, depinta sopra un carro de due rote, vestita de colore morello; e similmente è depinto el carro tirato da doi bianchi cigni, cum le coregie al collo loro morelle. Et essa tiene un dardo in mano con una aurea corona in testa et doi colombini bianchi in aere: una che vola denanti al capo suo, l’altra de retro; et di sopra è il terzetto che nomina Venere, che séguita l’altro. Lo Re è una figura di morello regalmente vestita, che siede con un dardo in mano; e da piedi ha l’aquila da l’un de’ canti, da l’altro ha Ganimede piccolo in piede, de un subtil velo vestito, ne le crespe de color morello toccato; et ne la sinistra man tiene el fulgore, et in capo una aurea corona: et di sopra un terzetto che ‘l nome di Giove in sé contene. Et è l’ultimo del Capitulo del gioco d’Amore: el qual Capitulo da principio incomenzando cusì dice. Et adverta Vostra Signoira, che ‘l primo terzetto va ne la prima carta che ha in sé un dardo; el secondo ne la seconda che ne contene doi, et el terzo ne la terza, et cusì insino al decimoquarto terzetto che è l’ultimo del capitulo, el quale sopra Jove se ritrova. El primo terzetto de questo Capitulo d’Amore comenza:
Amore, un che cum te cerchi bon stato,
Sollicito, animoso e prompto sia,
Che nel fin a chi dura el pregio è dato.
Amor, dubio non è che gelosia
In qualche parte ognor non te accompagni:
Ma poca è bona, e troppa è cosa ria.
Amor, termine e fin de toi guadagni
È un sempre sospirar infin a morte:
E chi un dì ride, un anno advien se lagni.
Amor, questo disio stringe sì forte
Di consequir quel che gl’imprime al core,
Che al effecto non par che se aprin porte.
Amor ce insegna non aver timore
In qual se voglia impresa: ché un ardito
Sempre ne la sua corte è vincitore.
Amor, se qualache volta ha un cor ferito,
E lo resani cum quel proprio strale,
Oh quanto è nel suo regno favorito!
Amor septe anni andar, come animale,
Fece quel savio re: ché la sua lege
El principe al suo servo adduce equale.
Amor obtenne, che a guardar la grege
D’Ameto Apollo stesse, e a lui crudele
Non fu al fin poi: ma cusì i soi correge.
Amor nov' arte trova; e sotto el mele
L’esca tien sempre; e i soi servi contenta,
Quando se ne ritrova alcun fidele.
Amor de ciascun servo il disìo tenta;
E se ’l ritrova vano, in forme tante
Il volgie, che ogni dì più se lamenta.
Amor questo gran Ciclope gigante
Fece per Galatea tanto amoroso,
Che più de lui forse non arse amante.
Amor Paride fece sì animoso,
Che ardito fu rapir Elena bella,
Ché ciascun cor Amor fa generoso.
Amor, a Vener figlio, fece che ella
Per Adone arse e per lui tanto accese:
Ché amor infonde ancor dal ciel sua stella.
Amore fece che Jove già discese
In varie forme, in tauro, in cigno, in oro,
E Ganimede in aquila ancor prese.
E fe Pasiphe inamorar de un Toro.
Questo è il Capitulo, che per tucte le carte nel gioco de Amore, secondo el già dicto ordine si lege.
El gioco de la Speranza in questo modo e descive. Il campo de tucte le quatordeci carte è verde, e ne la decima sono vasi in campo verde depinti coperchiati, con uno manico nel quale <> è scripto o vero <>. E questo perché se scrive ne le fabule che avendo Jove renchiusi tucti li mali nel vaso de Pandora, la Speranza non vi fu dentro chiusa, ma di fuori nel orlo del vaso se stava. E per questo li vasi in questo loco significano Speranza.
Ne la prima carta del quale è un solo vase assai grandetto, zallo, de colore come li alrti tutti: cum un terzetto di sopra che incomenza per Speranza; a sequendo questo nome, ch’è il primo de tucti li terzetti del Capitulo di Speranza, el numero de vasi che ne la carta sono: sicome nel gioco de Amor fu dicto. Ne la seconda carta sono doi vasi, et in mezo il terzetto; e ne la terza tre, e cusì ne la quarta, in fin a la decima; e nel mezo di queste tucte il terzetto se trova scripto al gioco da Speranza appropriato. Le quatro figure del quale sono in questa forma descripte. La prima è il Fante, et è depinto Oratio Cocle, che sol in Roma contra Toscana tucta diffese il ponte, seperando e se stesso e la patria sua liberare per farlo derieto a le sue spalle da Romani tagliare. La pictura è de un omo armato, cum la spada in mano sopra un ponte, drieto a sé tagliato, sotto el quale passa un fiume; e l’arme sue sono di verde colore tocche, e cusì el scudo. Et ha da l’uno de canti un vasetto, et il terzetto sopra il capo che ‘l suo nome manifesta. El Cavallo è Jason, armato de arme de verde tòcca, sopra un cavallo cum la spada in mano: el quale speranza ebbe mettendosi a tanto periculo de mare cum li Argonauti per acquistare el vello d’oro; et ha da l’un de canti un vaso, e sopra el capo lo terzetto che de lui rasona. La Regina di Speranza è quella Yudith ebrea, de la quale el Petrarca dice: <>. Questa è depinta in modo de ninfa, cum la spada in la dritta mano e ne la sinistra el vaso, et in piedi vestita de una vesta de verde colore tòcca; et in capo una corona d’oro, cum uno terzetto sopra che la manifesta; et a i piedi sui è un omo chiamato Oloferne, che fu da Yudith morto, che in terra, con un capo barbuto e dal collo tagliato in mano mettendose, iace,… fosco colore nel volto; cum una veste in modo de faldetta, cum le maniche tucte de verde listate; conciata nel capo a la moresca, con una tela più volte intorno avòltali, pur di verde tòcca. Lo Re di questo gioco è il pietoso Enea, che cum speranza de trovare Italia e ponervi la sede sua, se mosse da Troia. Questo di manto verde se trova vestito, e siede con un vaso in mano, avendo intorno al capo una tela a la moresca avolta, con una corona sopra, e cum lo terzetto che di lui apertamente parla; che è l'ultimo nel Capitulo che nel gioco di Speranza per tutte le sue XIIII carte si trova descripto. Lo qual ordinandolo, come quello d’Amore, il primo a la carta prima, e lo secondo a la seconda, e così de le altre, in questo modo comenza:
Speranza unita tien co ’l corpo un’alama
Talor, che senza lei non starìa in vita,
Poi spesso giunge a victoriosa palma.
Speranza dubio alcun non ha smarrita,
Ma sta ferma e constante in fino al fine,
Quando Ragione il suo sperare aita.
Speranza terminata in un confine,
Se vôl passar più in là che non convene,
Prima che coglia el fior, trova le spine.
Speranza quanto più con rason vene,
Più dolce cibo è al cor che se ne veste;
E se al contrario vien, porta più pene.
Speranza ce mantiene in giochi e in feste
Quando il poter con voler si misura;
Ma senza ordine ha in sé cose moleste.
Speranza, sei pure amica a natura!
Tu tieni i toi seguaci in tanta pace,
Che alcun patir non li par cosa dura.
Speranza, se tu se’ ancor pertinace
A chi possede il suo, dubio li poni
Tal che dir l’è mio, non serìa audace.
Speranza obtener fa senz’altri doni
Quel che a l’animo aggrada, e par che l'abbia
Quel che vôl già, né alcun più se gli opponi.
Speranza non consente un, preso in gabbia,
Dolente star, quando seco dimora,
Né un ropto in mar, si ben è in seca sabbia.
Speranza desta il pover che lavora,
A zappar, a spianar un monte, un lago,
Che fructo spera a le fatighe ancora.
Speranza Orazio fece un leo, un drago
A far tagliar el ponte, e andar a basso
De la salute de la patria vago.
Speranza Jason, d’animo non lasso,
Con gli Argonauti a l’aureo velo adduxe,
Per molti casi e in periglioso passo.
Speranza fu che Judithe conduxe
Fuor di Betulia et Oloferne a fine,
Tolse, che altro che speme par non fusse.
Speranza Enea fuor del Troian confine
Guidò in Italia’ e i successor fundorno
Alba e poi Roma a le genti Latine
Che domitor del mondo un tempo forno.
Nel gioco veramente de la Gelosia le dece carte sono di colore azurro o vero celesto, e in esse sono depinti ochi, come quei da i quali nel animo del geloso el crescier de la gelosia procede. E ne la prima è uno, grandetto, con un breve di sopra; e ne le altre secondo el numero ordinato, con lo breve in mezo, nel quale li terzetti si scrivono che incominciano da Gelosia, sì come li doi dicti giochi d'Amore e de Speranza incomenzavano da il loro; con el numero nel modo già scripto, che a Gelosia sùbito segue. Del qual gioco le quatro figure sono in questa forma depinte. La prima in luoco di Fante è Argo, che geloso fu oltra modo, dubitando che Io, dàtali in custodia da Junone, non li fusse tolta; et è depinto carico per tucta la faccia d'ochi, con uno ochio ne la sinistra mano e ne la diricta uno bastone da pastore, con una vesta pastorale tòcca in qualche parte de celeste colore; a i piedi del quale è un pavone, cum la coda diritta,in che egli da Junone fu tramutato; et ha sopra el capo suo el terzetto che de esso brevemente ragiona. Il Cavallo è per Turno figuarato: el quale per gelosia da Enea fu vinto, come in Virgilio si lege; et è sopra un cavallo di tucte arme armato, de azuro colorite, con uno ochio in mano e con tre versi che lo manifesta sopra el capo. La Regina di Gelosia, per Junone in questo gioco se dipinge; perciò che ella sempre fu gelosa oltra mo' di Jove, et è regalmente de azuro vestita, sopra un carro di due rote de azuro puntato, tirato da doi pavoni; con uno ochio in mano, e con la Iride, che da capo a piedi i la circunda, dicto da gli altri lo arco celeste, e con una aurea corona, sopra la quale sono li versi, che di lei ragionano. L'ultima digura di questo gioco è il Re di Gelosia, per Vulcano significato, lo quale, di Venere geloso, a tutti li dei, diligentemente observandola, la manifestò in adulterio, ritrovandola con Marte per l'accusazione del Sole, che, per lo cerchio suo correndo, la scorse. Et è dipinto nudo, col martello ne la dritta mano; e ne la sinistra una ala d'amore sopra una ancudine; et ha drieto li sui piedi uno foco; e sopra el bracio che tiene l'ala, uno ochio; coperto ne le parte men belle con un celeste drappo che sopra le spalle se lega cum doi groppi; et ha una corona d'oro in capo; e de sopra uno terzetto che lo manifesta: che è lo ultimo de tucto el Capitulo de Gelosia. Li ternarii del quale sono per tucte le quatordeci carte disposti, come sono quelli de li doi già scripti; el primo terzetto a la prima carta adaptando, et il secondo a la seconda; e così de le altre. Li quali tucti versi integrano uno Capitulo che incomenza:
Gelosia un vero amor non po' smarrire,
Che si uno amante va cum pura fede,
Amor il premia al fin del suo servire.
Gelosia è dura cosa, ove esser vede
Commodo al concorrente nello amore:
Chè al spesso supplicar segue merzede.
Gelosia tristo rende un lieto core,
Ma spesso è causa ancor, dove ella sprona,
Condurre un che ama a un virtuoso onore
Gelosia quando vien non si propona
Contrastargli alcun mai, ché sforza ogniuno:
Ma el saper tollerarla è cosa bona.
Gelosia ciascun cerca, e poi ciascuno
La fuge; e prima ogniun vorìa sapere,
Poi di saper vorebbe esser digiuno.
Gelosia sempre non debbia volere
Il concorrente per nimico; anzi esso,
Se vincer vôl, de' pazienza avere.
Gelosia se te gionge a veder presso
A la cosa che tu ami el tuo rivale,
Stimi che ‘l parli sempre a tuo interesso.
Gelosia ove si pone è sì gran male,
Che medicina non se trova a lei;
E si troppo oltra va, cosa è mortale.
Gelosia non vien manco fra li dei,
Che fra gli omini faccia; ecco Junone
Del suo Jove gelosa, ah casi rei!
Gelosia di certezza mai non pone
Alcuno in strada, e al ver non apre porte,
E tien fra speme e dubio le persone.
Gelosia d’Argo e de sue viste acorte
Non fu secura mai, fin che nel piede
Con nome de Io non li fur l’orme sporte.
Gelosia Turno re, promisso erede
Del re Latino, indusse a mortal guerra:
E morto fu, ché morte indi procede.
Gelosia Juno dea più volte in terra
Fece venir per varii amor di Jove,
Ché mai non posa un cor che in sé la serra.
Gelosia fe’ Vulcano in forme nove
Pigliar Venere e Marte entro la rete,
E il Sol ne fece manifeste prove
Con gli ecclipsi soi, segni e comete.
Finito el terzo gioco, del quarto ragionaremo, che è il giuoco del Timore, nel quale le scutiche se descrivono, come li dardi nel gioco d'Amore. Queste sono depinte con uno manico de legno lungo assai; et in capo cum tre draghi un poco intorti; et tali scutiche o vero flagelli, perché da ognuno sono temute...
Timor un’alma tien tanto dubiosa
Ch’ella ha poca ragion di viver lieta,
Qual mai non gode e sempre è paurosa.
Timor, dov’e qualche pericol, vieta
Pigliar piacere, e tanto un om fa vile,
Che l’animo ragion mai non acquieta.
Timor tremar fa l’angel ne l’ovile
Se di fuor sente il lupo, e sì sta chiuso,
Che appena intrar gli: può il vento sottile.
Timor quattro destrier d’un carro a l’uso
Sotto una virga tiene a un giogo stretti;
E molti in servitù, che non gli excuso.
Timor ci tien talor, che i nostri effetti
Non possiam dimostrar, che assai ne offende,
Ché compagni al timor sono i rispetti.
Timor fa sempre che un non si diffende,
Ma supplice ai contrasti se dimostra
E senza arme adoprar vinto se rende.
Timor, se tu ti accosti armati in giostra
La lor virtù sarà sotto te morta;
Dove tu sei, sempre la fronte il mostra.
Timor obturba i sensi, e faccia smorta
Rende, e termito il cor per lui si sente,
E l’occhio il mostra con sua vista torta.
Timor non ha sol di quel ch’è presente
Dubbio: ma teme, ben che sia lontano,
Il periculo, e a sé pargli imminente.
Timor de certo è a imaginarlo vano,
E dove timor regna, ogniun concorre
Che invalido quel corpo sia e mal sano.
Timor Fineo tra gli omini una torre,
Converse in saxo col Meduseo volto,
Ché a’ timidi fortuna non soccorre.
Timor Ptolomeo re, sùbito vòlto
Ebbe contra Pompeo, sol per paura
Che Cesar non gli avesse il regno tolto.
Timor non lassò Andromeca secura
Del figlio, visto Ulixe: e intrar lo fece
Del patre Ector entro la sepultura.
Timor Dyonisio del tonsore invece
Usoe le proprie figlie, cum carbone
Per fugir ferro; e al fin non fugì nece,
Chè mal se fugge quel che 'l ciel dispone.
Poscia che de li quatro giochi de le Carte a pieno è stato da me scripto, de li Trionfi ora ragionare mi bisogna: e li loro significati, e le picture, e li versi in essi descripti minutamente chiarire. Et da ciò che bono principio sia per me dato, da quello che è me, per quello che se ha dicto, similimo incomenzarò: e questo dimàndase in questo gioco el matto. Lo quale è dipinto a cavallo de uno asino, senza briglia, vestito de rosso, con un capuccio giallo in capo, e cum due campanelle rotonde, atacate a due orechie che nel capuccio sono, una per banda; et ha questo capuccio una verde coda, sì com' sono le rechie, che da le spalle drieto incominciando, se rivolta inverso el capo suo. Et è cinto cum la veste atorno a torno retirata; et ha la manica larga ne la bocca, con uno friso giallo nel orlo, e ne l'ultimo pizzo de la dicta manica è un'altra campanella. E nel piede ha uno stivaletto rivolto sotto il genochio, e quella parte che si rivolge è gialla; et il resto è de rosso colore. L'altro piede e l'atra mano non si vedano per essere in lato tutto dipinto, excepto el volto: lo quale non è bianco, con doi grandi e negri ochi, col naso schiazzato, et con le labbra grosse e la bocca aperta, e cum doi ciglia di colore negro insieme agiunte, e con la fronte rugosa. E per quello che io vedendolo puotì existimare, parvemi di vedere la imagine di quello omo: et oltra queste tucte dicte cose, egli tiene uno mondo in mano, rotondo: nel quale e mare, e fiumi, e monti, e cittade si vedano descripte; e sta sopra questo mondo col pecto e col mento appogiato, e tiene le gambe retirate: a le quale l'asino si volta con el capo, come se basciare li volesse li piedi; e sopra de sé tiene tre versi, che sono il principio del quinto Capitulo, che per tucti li Trionfi se expedisse. Ne li quali versi che, insieme cum gli altri, qui di sotto si notaranno, la figura se manifesta, da me cusì particulare e longamente descripta, per essermi de sangue assai congionta.
Il primo Trionfo, che è de un ponto, se dimanda l'Ozio; e la figura è di Sardanapalo re, se bene mi ramento, de li Assirii; lo quale a la luxuria e gola dato, non seppe il regno guidare, e fu il primo che ritrovoe le piume ne le quale si dormisse. Questo mi parve potere, di Sardanapalo ragionando, dire. La figura del quale è delicata: e tiene in dosso un manto bianco di celeste colore adaquato, et ha in testa l'aurea corona; e sede sopra un giallo scanno; et sotto el manto è de morello vestito; et a piedi suoi iace una marmota, che è animale pigro e ocioso e sonnolento; e sopra di sé sono li versi posti che lo nominano, li quali incomenzano per questa parola Ozio. Et in tucto el Capitulo de Trionfi li terzetti incominzano per quella parola che significa la figura del Trionfo sotto ad essi dipinta. Et a piede di tucti li Trionfi sono animali di quella medesima natura che è il Trionfo. El numero de quali Trionfi, da l'Ozio incomenzando, che per l'uno è posto, se ritrova scripto in uno canto del breve, che sopra el capo loro è depinto.
El secondo Trionfo, che per il binario numero è signato, è la Fatiga, la quale per Ippolita è descripta, che fue per sua grandissima fatiga de le Amazone Regina. Questa in forma de una Nynfa è depinta, col pecto e con la dextra manica di morello; cinta con uno cingulo de simile colore, che drieto a le sue spalle elevato e ritorto se dimostra; con uno velo in capo verde; e con il camiso, da la cintura in giuso, bianco. Et ha ne la dritta mano una lanza; ne la sinistra un giallo scuto, con uno spechio in mezo, che tutto el brazo li copre. Et a piedi suoi molte formiche se ritrovano, che fra gli altri animali amatrice de fatica sono. E sopra el capo un terzetto si lege, come ne li altri.
Desio è lo terzo Trionfo, per Ateone significato, lo quale cose divine desiò di vedere, e, vedendo Diana in una fonte, ignuda si converse in cervo, spargendoli essa nel volto cum le mane l'acque. La pictura è de un omo in giupone di giallo listato, e tutto el remanente de morello colore; e le calze de celeste e bianco, in molte liste divise sono. El capo è di cervo, con doi corna longhe e d'oro e di cervigno colore, con la bocca aperta; e tiene in la sinistra mano uno lasso, e ne la diritta mostra paura: et ha doi cani che lo mordano; et a piedi uno leopardo che siede, lo quale è animale molto desioso in seguire le fiere. E tiene sopra el capo il suo terzettto secondo l'oridine dicto.
Ragione per il quarto Trionfo si vede scripta, e la figura che la dimostra è Laura del nostro Petrarca, vestita come Ippolita, et in mano tien un stendardo; et in campo verde si vede un candido ermellino; et ha dinanzi a sé Amore, cum le man ligate dietro e cum l'ale spenachiate; e sotto a piedi l'arco e la faretra sua. E da l'un de' canti un zoco d'ape, cum li busi suoi, e cum le ape che intorno ad esso volano. Le quale per la ragione sono poste, come animali che ne le sue operazioni cum grandissima rasone procede. E sopra el capo de essa Laura sono versi che di lei, non cusì dolcemente come per l' adietro facto fu, ragionano.
Nel loco del quinto Trionfo si vede lo Secreto, e per esso Antioco se dipinge, vestito de un manto di morello che dovrebbe esser scuro; cum biondi capaelli e delicata faccia; et ha a piedi suoi uno struzzo, lo quale credo che sia per paidire ogni cosa dura, e nel suo proprio sangue convertirla, non mandandola fuori per lo secreto posto. E, sì come a gli altri Trionfi, sopra el capo suo tre versi di lui si legano.
Grazia per lo sexto Trionfo si vede, e ne la pictura è significata per tre donne che sono le tre Grazie: le quale nude si vedano depinte, cum li aurei capelli giù per le spalle; occulatate ne le men belle parte cum veli bianchi e suttili, in guisa che esse non occultarse, ma cum le bracia tenère il velo, a chi vi mira, pare; et una guarda l'altra come se insieme ragionassino. A piedi de le quale si vede una Fenice, che vòlga in se stessa il beco, e dentro ad un rogo, cum l'ale aperte, stando. Et hanno queste Gratie la Fenice per sua; percioché esse in una etade se trovano in uno solo sugetto. Sopre le qual Garzie sono tre versi assai acconciamente posti.
Sdegno per el septimo Trionfo se dimostra, per lo quale el Re Erode ne la pictura è posto, che la cara et amata Mariana per sdegno conduxe a morte, chiamandola poi e con Amore dolendose. Et è dipinto con una corona d'oro in testa, coperto de un manto morello, e di sotto vestito di celeste colore; cum le mane battendose il pecto, e cum la boca aperta, lacrimando; e sopra un scanno giallo sedendo, con uno orso a piedi, sdegnosissimo fra tucti gli altri animali: in modo che se stesso, le picciole ferite squarciando, cum le proprie mani sue se occide. E li versi pur in questo Trionfo come ne li altri sono.
Pazienza, al Sdegno, nel octavo loco segue, per Psiche significata, la quale li adversi casi soi pazientissimamente soffrendo, meritò de essere nel numero de le Dee collocata. Questa è l'anima nostra, che cum grandissime fatiche da le brutture del mondo levandose, piglia l'ale, da Jove per grazia concesseli, pogiando col divino adiuto insino al Cielo, dove, per merito de le sue fatighe, la felice vita prendendo, diventa Dea. La pictura de Psiche è in forma di Ninfa, di morello manto vestita, con il bianco camiso di sotto, e tiene cum ambedue le mane parte del suo manto; et ha a suoi piedi, da l'un de canti, uno arco ropto, con uno scrito riverso a lui di sotto; e da l'altro canto due ali spenachiate et uno cavallo leardo, col freno morello, che pazientemente essendo generoso, patisse ogni fatica. E sopra el capo di dicta Psiche sono tre versi che di lei ragionano.
Errore per el nono Trionfo se scorge, per Jacob ne la figura importato, che avendo septe anni per Lia servito, credette aver Rachel meritato, et in questo grandemente erroe: e fecesi per septe altri anni ancora de Labaan servo per amore di Rachele; onde dice el nostro Petrarca <>. La figura de Jacob è de un giovene, da pastor vestito, con uno capello dietro e un fiasco a lato; con uno grisettto et un paro de osfati morelli in piedi; sopra de uno anodato bastone apogiato cum le mane e con el capo, cum la dritta gamba sua circuendolo; e d'intorno ad esso sono assai pecore, che facilmente errano, tutte lo errore de una seguendo. Cum le quale in dispatre si vede un cane, che per guardia loro in terra iace, con un collare di ferrei spini carico, ad ciò che da lupistrangolato non sia. Li versi veramente, sopra el capo, a chi vi mira, si legano, che di Jacob fanno qualche menzione.
Drieto a lo Errore segue la Perseveranza, cum li versi come è dicto, per la quale Penelope si vede depinta, che cum gran perseveranza molti anni tessette e disfece la texuta tela, expectando el suo caro consorte, che per il mondo andava errando. Questa è in uno tessaro depinta di ordimento, e di pettine e di navicella e de calcoli che con li piedi se movano, e da ogni altra cosa fornito. Sopra el quale sono alcune hirundine che stanno, et alcune che intorno ad esse volano. Il colore del telaro è berettino, e la veste de Penelope è morella scura, con el pecto verde; e sta in forma di quelle che con piedi e cum le mane, avendo i capelli drieto a le spalle, tessendo lavorano.
Dubio nel undecimo loco se trova cum versi ad esso appropriati, e per il Re Egeo è significato: che dubio stando de la venuta del suo figliolo Teseo per avere...
[Pericolo]...per la figura di Cesare descripto, lo qual da Bruto e Cassio fu occiso nel Senato; vestito ne la pictura de uno manto morello, e sotto di veste d'oro: lo quale manto li cade da le spalle. Et appresso de lui sono e Bruto e Cassio, coperti de rosso: uno col pugnale nel pecto di Cesare ficto:l'altro in acto di cacciarlo; a piede di quali uno furioso toro si vede, che pericolo significa, percioché egli con le corna ferisce non vedendo il modo, il che al feritore è periculosissimo.
Nel decimoctavo Trionfo vedesi la Experienza, con lo suo terzetto, per Rea significata, che fu di Jove madre; la quale per molta experienza tolse il nato fanciullo per scamparlo da l'ira di Saturno e dèttelo a i populi Corifanti: che cum cimbali sopra a un monte di Creta lo educorno, e cum bacini facendo strepito, ad ciò che el cridare non fusse da Saturno sentito. De la qual Rea, la pictura è una donna, con el capo di nero velato, di morello chiaro vestita, con il pecto azuro, che guardi a la cima di un monte, dove alcuni piccoli omini si discernano. Et ha questa denanzi a sé un piccol bambino in fascie, con una aquila a lui di sopra, con l'ale aperte, de colore negro; come quella che in molte cose experta, per la longheza de la vita, e la lontananza de' luochi che de aver visto si trova, da Jove per suo fidato ucello fu electa.
Il Tempo doppo la Experienza segue, cum li versi suoi, nel decimonono Trionfo. Questo in forma di Vechio è depinto, cum veste di morello e con manto de cangiante; e con una crocioletta in la stanca mano che intrettando va. Cum la dritta un cervo cum le corna lunghe, che per esserre di lohghissima vita col Tempo si pone.
Segue, drieto al Tempo, nel vigesimo loco l'Oblivione, cum lo ternario suo, in forma di vechia depinta, che il capo de un velo giallo e il collo tiene avolti; cum maniche morelle e veste azurra, ma per longheza di tempo di tal colore in assai luochi smarrita; e tiene una catena in mano avolta ad una lince; che beve de una aqua che per il fiume Lethe è posta, lo quale suole, chi dentro li beve, de ogni memoria privare. Queste figure per tale trionfo sono poste, per ciò che la vechieza significa oblivione, e la lince è animale oblivioso molto; e Lethe è fiume che pone ne li animi di chi beve essa oblivione: la quale tole de memoria de omini, e mena a Lethe tucte le famose cose, come fu Dido da Virgilio tanto nominata.
L'ultimo Trionfo nel vigesimoprimo loco riposto, e con li versi suoi, è la Forteza de animo, per Lucrezia Romana (e non per Suor Felice, come il compositore vole) significata; la quale per forteza de animo cum le proprie mani se occise mostrando a tucto el mondo aperto el casto voler suo. Questa è in forma de una bella giovene depinta, che cum capelli sparsi cum la dritta mano uno coltello nel pecto si caccia; vesita de uno manto negro di sopra e verde di sotto, con un camiso rosso, e cum al sinistra tene un leone, che fra gli altri animali, di forteza è da tutti lodato.
Questi sono li Trionfi minutamente descripti; ne i quali uno Capitolo si legge de vintidoi terzetti, in vintidue carte de Trionfi, con el Matto, partiti: dal quale principiando, el Capitulo comenza in questo modo, adaptando el secondo terzetto al secondo Trionfo, lo terzo a lo terzo, e cusì de li altri; ponendo in questo numero il Matto. Dal quale incomenzando li versi cusì dicano:
Mondo, da pazzi vanamente amato,
Portarti un fol su l’asino presume,
Che i stolti, sol confidano in tuo stato.
Ozio, Sardanapalo ozioso in piume
Tenne e in lascivie concubine e gola,
Tanto che del regnar perse il costume.
Fatica, fece Ipolita, che sola
Meritò de la Amazone corona:
E in Scizia e in Grecia ancor suo nome vola.
Disio accese Atteon de una persona
Celeste, sí che in cervo fu converso:
Però el desio tropp’alto alcun non pona.
Ragion fe’ Laura del fanciul perverso
Cupìdo trionfar, ché mai non torse
Occhio da la virtù né il piè in traverso.
Secreto Antioco fu, tanto che corse
Per Stratonica quasi in fin ad morte;
Ma el fisico gentil ben lo soccorse.
Grazia a secreti e savii non va a sorte,
Ma cum ragion, ché nel amore ha il vanto
Colui che è a asconder le passion più forte.
Sdegno questo re Erode occupò tanto,
Che facta occider Mariana, poi
La chiama, e con Amor si dôl col pianto.
Pazienza Psiche ebbe ne i casi soi,
E però fu soccorsa ne li affanni
E facta Dea nel fin, ch’è exempio ad noi.
Error fece Jacob septe e septe anni
Servir, ché di Rachel Laban non dixe;
Ma el tempo ristorò tucti i suo’ damni.
Perseveranza in Penelope vixe
Tanta, che, al texer e disfar le tele,
Meritò riaver l’amato Ulixe.
Dubio a se stesso Egeo fece crudele,
Che a morte se gittò nel mare in frecta,
Visto Teseo tornar cum negre vele.
Fede ebbe Sofonisba non suspecta,
A Massinissa, ch’el venen promisse
Se a seguire il trionfo era constrecta.
Ingannò Nesso, che a Dianira disse:
Ad Ercul dà questa vesta col sangue,
Se advien che abbia d’amor mai teco risse.
Sapienza fu, come in un callido angue,
In Ippermestra, che in feminei panni
Salvò il marito dal timor exangue.
Caso cadde in Pompeo, che per tanti anni
Avea seduto al summo de la rota,
E al fin fortuna el sommerse in affanni.
Modestia Emilia, di Scipion devota
Moglie, ebbe; ché, trovatol con l’ancilla,
Tacque il peccato, per non darli nota.
Pericol di gran foco una favilla
Porta: ecco Cesar morta nel Senato
Da duo; e fuggì già furor di Scilla.
Experienza in Rea fu, che occultato
Jove nel monte de Ida, ordinò i suoni,
Ché al pianger suo non fusse ritrovato.
Tempo, che gli omini a la morte sproni,
Nestor servasti, e, se pur venne al fine,
De un viver tal non par che se ne ragioni.
Oblivion, che termine e confine
Di tutto sei, Elice e Dido e Lete
Menasti, e fama e tempo hai in toe ruine.
Fortezza d’animo in Lucrezia liete
Exequie fece: pe purgar sua fama
Se occise, a l’offensor tese atra rete
Dando exempio a chi 'l nome e l'onore ama.
Et ad ciò che abiate il compimento di questa mia longa descrizione, voglio ancora riscrivere il sonetto, che ne l'ultima carta, drieto a tutti li Trionfi si pone:
Vegio il mio error, pur el commune inganno
Sieguo, e stimo el mio fallo assai minore,
Ché errar la più parte, è manco errore
Che, sol salvarsi in un publico danno.
Vegio che gli omini ingannando vanno
Lor stessi, in farsi parer corte l’ore:
Onde, per far l’inganno ancor magiore,
Questo gioco ho composto e io stesso el danno.
Perché altro non è lui che sproni: anci ale
Che’l tempo, tanto prezioso e caro,
Via manda, come corda d’arco un strale.
Ma poi che a tener quel non è riparo,
E il fuggir tedio è instincto naturale,
Scusomi anch’io se da natura imparo.
Tucto questo mio longo rasonamento è stato facto per descrivere minutamente questi novi Trionfi, ad ciò che Vostra Signoria, piacendoli, li possa far depingere. Li quali poscia che seranno dipinti, potranse operare giocando cum loro in questo modo. Ragunati insieme che seranno li giocatori, in qualunche numero si voglia, bisogna prima ad uno ad uno intorno pergere una carta; e tante nel circolo porgendo carte procedere. che tutte siano fuora date: excepto quelle due che in sé li sonetti contengano. le quale nel mezo del gioco sono, cum lictere di sopra, poste. E da questo dar di carte, che tocar deve a chi per sorte ha la megliore, nascie il primo piacere: perciò che ognuno lege li versi che ne le carte sue sono, e mostranli a li compagni. Et in ciò si vedano a le volte a donne et omini venire terzetti che sono grandemente al proposito loro, e di gran riso de chi gli ascoltano. E poi che ognuno averà le carte sue racolte in mano, il primo cominciarà a giocare una carta, a la quale bisogna che ognuno, avendo del gioco, responda; e non avendo, dia Trionfo. E de le carte, el più nel gioco d'Amore, de' dardi, e il più de vasi, nel gioco di Speranza, vince; et il meno ne li altri doi giochi è superiore. Perioché più amore e più speranza dono megliori che meno; e meno gelosia e timore vaigono meglio che 'l più de loro. De' Trionfi veramente il più numero, ne li brevi da l'uno de' canti signato, è vincitore. E quello de' giocatori che vincerà, tanti giochi quanti vincerà, tanti scuti potrà dimandare a chi egli vorà di coloro che nel circolo sono in questo gioco: prestando prima sacramento cum quelle due carte di sonetti, che in mezo lo scanno si ritrovaranno. E questo facto, bisogna che ognuno ritenghi le carte in mano de li giochi che serano per lui vinti, e quello che alcuno gioco, per caso, non averà vinto, più inanzi non giocarà.
E cum le ritenute carte in mano farassi un altro gioco in tal modo. Ciascuno guarderà le carte sue, e chi più de dardi, o vero de vasi, si troverà avere, vincerà colui che avrà meno; e chi meno d'ochi, o vero di flagelli, si ritrovarà in mano, vincerà quello che è di più fornito. E il vincitore dimandarà al victo, per premio, una obedienza a quello che egli, per una sola fiata, è per domandarli. Et in questo, quello che vince comanda quello che li pare a colui che perde, astrengendolo sotto il già dicto sacremento ad obedirlo.
Nasce, oltre quesi, un quarto gioco, nel quale coloro che hanno ne le carte, che gli sono in mano, più terzetti che si seguitano, quelli, dico, vincono. Et in premio ponno dimandare in dono tucto quello che a loro pare de le cose che sono intorno a la persona del victo.
Questi sono li quatro giochi che per ora, cum questi novi Trionfi, si sogliano fare: cum li quali molti altri se fariano, e tanti quanti con il commune di continuo se fa. De li quali avendo longamente rasonato, per non affaticarvi più oltre, farò fine.
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